Mons. Mansi e Matteo Salvini
Mons. Mansi e Matteo Salvini
Politica

Zinni (ESP): "Mons. Mansi al ministro Salvini"

Il vescovo di Andria condivide sulla sua bacheca FB un articolo di “Vino nuovo”, a firma di Paola Springhetti

ll consigliere regionale e capogruppo della lista Emiliano Sindaco di Puglia, Sabino Zinni pubblica un articolo di Paola Springhetti che il vescovo di Andria ha condiviso sul suo profilo fb, rivolto a Matteo Salvini, leader della Lega e Ministro dell'Interno.

«Di solito – scrive il cons. regionale Sabino Zinni – si accusa il mondo ecclesiale di eccessiva prudenza, di misurare e pesare le parole oltre ogni limite di umana sopportazione, in altri termini di sacrificare il Vangelo alla diplomazia. Bene, da indegno figlio della Chiesa di Andria, voglio esprimere apertamente la mia gratitudine a sua Ecc.za Mons. Luigi Mansi che ha voluto condividere sul suo profilo FB un articolo di Paola Springhetti che al Ministro degli Interno proprio non le manda a dire. Al contrario, ribatte, da par suo e con dovizia di particolari, a slogan arcinoti e abusati del segretario leghista. Slogan che tanti elettori, anche cristiani, pericolosamente sottovalutano ma che le parole del nostro pastore scopertamente mettono a nudo. Mi perdonerà, sua Ecc.za, se oso rilanciare quanto si legge dalla sua bacheca. Del resto, si tratta di un testo ormai già pubblico e circolante sui vari social. Ma forse a qualcuno dei miei 25 lettori potrebbe essere sfuggito e leggerlo, cosa che consiglio vivamente di fare, non farà loro del male».

L'articolo della Springhetti
Non ci volevo credere, ma l'ha detto davvero, Salvini. Il 26 agosto, concionando trionfante da Madonna di Campiglio in diretta su La7, il ministro dell'Interno ha annunciato che era stato risolto il problema dei migranti sequestrati sulla Diciotti a Catania, grazie alla Chiesa Italiana che ne ha accolti un centinaio, e ha detto «siamo riusciti finalmente ad aprire le porte anche della Chiesa». Ha detto davvero "finalmente", come se fino ad ora la Chiesa non fosse stata accogliente, nelle parole e nei fatti.

Sulle parole l'elenco sarebbe lungo. A parte le note posizioni del Papa, hanno preso posizioni molto chiare, nei mesi scorsi, il presidente della Cei, Mons. Gualtiero Bassetti e molti altri vescovi, come Zuppi, Perego, Lorefice, Delpini, Nogaro, Simoni, Montenegro, solo per fare alcuni nomi di diocesi piccole e grandi, del Nord e del Sud. Ma la Chiesa non è fatta solo di vescovi, e infatti hanno parlato singole personalità di rilievo – come Ravasi e Bettazzi -, teologi e teologhe, intellettuali. Ma soprattutto hanno parlato le realtà ecclesiali più attive e vivaci: dalla Caritas ai Gesuiti del Centro Astalli, da Sant'Egidio all'Azione cattolica e all'Agesci e al vasto mondo dell'associazionismo, e poi ordini religiosi, parrocchie, gruppi di volontariato, famiglie. È il mondo dei cattolici praticanti e attivi, che pensano e agiscono nella quotidianità di questa complicata società.
E che, oltre a parlare, agiscano è fuori di dubbio, anche se è difficile censire tutto ciò che viene fatto. Un po' di numeri li ha sintetizzati Paolo Lambruschi su "Avvenire" nel luglio scorso, in un articolo dal titolo indicativo: "Basta bufale. Ecco cosa fa la Chiesa italiana per i migranti". I dati si riferiscono alla primavera del 2017, quando erano state accolte circa 25 mila persone in 136 diocesi. L'accoglienza è stata fatta in collaborazione con lo Stato, visto che «ha supportato il sistema dei Cas, i prefettizi Centri di accoglienza straordinaria, e per il 16% è entrata nel sistema Sprar gestito dal Viminale con i Comuni». La Chiesa ha impegnato per questo canoniche, seminari, strutture ecclesiali, ma anche sedi episcopali. Inoltre 2.700 persone sono state accolte in parrocchie e 500 in famiglie, dunque fuori dal sistema pubblico. Bisogna poi aggiungere 2.000 profughi giunti in tre anni con i corridoi umanitari di Comunità di Sant'Egidio, Federazione delle Chiese evangeliche, Chiesa valdese, CEI. E i 300 profughi detenuti nelle galere libiche, evacuati in collaborazione con Governo e Acnur e accolti dalle Caritas diocesane.

A questi numeri – nel frattempo cresciuti – bisognerebbe però aggiungere tutto il lavoro, spesso volontario, per l'integrazione: il supporto legale, l'insegnamento della lingua, l'inserimento scolastico, l'assistenza medica, l'aiuto per trovare lavoro… e soprattutto quel patrimonio immenso di relazioni che vengono tessute tra chi accoglie e chi viene accolto e che sono il cuore dell'impegno dei cattolici. Un capitale umano e sociale che non ha prezzo.
E ora che la Cei gli ha tolto di mano la patata bollente di una situazione altrimenti senza via di uscita – l'avere fatto il bullo con un gruppo di migranti che vengono dall'Eritrea, e quindi con tutta probabilità aventi il diritto di essere riconosciuti come profughi – Salvini dice che "finalmente" è riuscito ad aprire – lui! le porte della Chiesa.
In quel comizio, quasi altrettanto fastidiose sono state altre due affermazioni. La prima è che «gli italiani non pagheranno una lira, a differenza del passato». Perché, questi cattolici che hanno scelto di accogliere non sono italiani? Le parrocchie e gli altri luoghi della Chiesa non sono popolati da italiani che ci mettono tempo, cuore, risorse? Forse per questi cento della Diciotti lo Stato non pagherà, ma gli italiani sì, con convinta generosità.

Infine, riferendosi alle indagini della magistratura su di lui, Salvini ha ripetuto per l'ennesima volta uno dei suoi slogan preferiti: non possono fermare «la voglia di cambiamento di sessanta milioni di italiani». Non sono sessanta milioni quelli che lo sostengono. Tanti italiani sì, ma non tutti. Tutti quei cattolici di cui abbiamo parlato finora, ad esempio, non sono con lui. Non sono disposti a barattare il Vangelo con i suoi slogan.
Salvini non sfida solo la magistratura, le istituzioni italiane ed Europee, la Costituzione; sfida continuamente i cattolici: brandisce vangeli e rosari come se fossero spade, denigra la Chiesa, insulta e sfotte chi ha fatto della solidarietà un valore fondante. Abbiamo avuto, negli anni passati, tanta paura della secolarizzazione: lui in qualche modo ne è il culmine, perché ridicolizza la ricerca di uno stile di vita cristiano e vuole impedire che la Chiesa abbia un ruolo sociale.
Molti cattolici lo seguono, forse non rendendosi ben conto di quanto sia distruttivo. Per fortuna, non tutti.
  • mons. luigi mansi
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